Premio Nobel per la Pace 2020 al World Food Programme. C’è un po’ di Sud Italia

Premio Nobel

In the Photo: WFP’s Executive Director, David Beasley talks with young girls from the school supported by WFP – They couldn’t guess his age. Photo: WFP/Tiphaine Walton

Un grande riconoscimento per il mondo del food, quest’anno vince la solidarietà dell’ONU, il Premio Nobel per la Pace 2020 è stato assegnato al World Food Programme, il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. Il Comitato norvegese ha deciso di conferire il Premio Nobel al World Food Programme (WFP). Il riconoscimento è assegnato per “il suo impegno a migliorare le condizioni per la pace nelle aree di guerra e per la sua attività nell’opporsi all’uso della fame come arma di conflitti”.

Come dichiarato anche dalla presidente del Comitato, Berit Reiss-Andersen, si è voluto “rivolgere gli occhi del mondo ai milioni di persone che soffrono o affrontano la minaccia della fame“. Infatti all’inizio di quest’anno, il WFP è stato il primo ad avvertire che il mondo era a rischio di carestie diffuse “di proporzioni bibliche” a causa della pandemia. “Di fronte alla pandemia, il Programma alimentare mondiale ha dimostrato una capacità impressionante di intensificare i suoi sforzi e gioca un ruolo chiave nella cooperazione multilaterale per rendere la sicurezza alimentare uno strumento di pace”, ha continuato la presidente.

Le dichiarazioni del capo del WFP David Beasley

Il capo del WFP David Beasley ha dichiarato ai giornalisti di essere scioccato, non appena ha saputo la notizia. “Questo è un riconoscimento al personale del WFP” – ha ringraziato il WFP sul proprio account Twitter – “che ogni giorno mette in gioco la propria vita per portare cibo e assistenza a oltre 100 milioni di bambini, donne e uomini affamati in tutto il mondo. Sono là fuori nei luoghi più difficili e complessi del mondo, dove ci sono guerre, conflitti, condizioni climatiche estreme. Non importa. Sono là fuori e meritano questo premio”.

L’agenzia Onu nel 1961

L’agenzia è stata fondata agenzia Onu nel 1961, in seguito alle richieste dell’ex presidente degli Stati Uniti, Dwight D Eisenhower, di elaborare “un programma praticabile” per fornire aiuti alimentari attraverso il sistema delle Nazioni Unite. Mesi dopo la sua creazione, il WFP  è intervenuta dopo un forte terremoto nel nord dell’Iran, fornendo grano, zucchero e tè ai sopravvissuti. Da allora, ha continuato a rispondere a disastri naturali e conflitti in tutto il mondo, tra cui lo Yemen, dilaniato dal conflitto, l’Afghanistan, in cui a volte il gruppo ha sospeso le consegne di aiuti alimentari in alcune aree a causa di attacchi, il Sud del Sudan, colpito dalla carestia e un’economia al collasso, dove tra l’altro nel 2014, uno dei membri del suo staff è stato rapito.

In un sondaggio interno del WFP dello scorso anno, almeno 28 dipendenti hanno dichiarato di aver subito stupri o aggressioni sessuali mentre lavoravano presso l’agenzia. Più di 640 altri hanno affermato di essere stati vittime o aver assistito a molestie sessuali. Il signor Beasley ha detto all’agenzia di stampa Associated Press in quel momento che stava “facendo scelte difficili per portare il cambiamento”.

Assistenza a 100 milioni di persone in 88 Paesi

Un Premio Nobel che parla anche un po’ del Sud Italia

Solo nel 2019 da Brindisi sono partite 428 tonnellate di aiuti umanitaridestinati a tutto il pianeta: 75 le operazioni organizzate e gestite, 34 i Paesi colpiti da emergenza o crisi umanitaria sostenuti. È il ruolo strategico della base italiana Unhrd nel panorama mondiale del World Food Programme, che ha ricevuto il premio Nobelper la pace.

L’organizzazione, insignita del riconoscimento forse più prestigioso in assoluto, ha sede a Roma ma in Puglia, proprio nel cuore del Mediterraneo, si trova uno suoi dei centri operativi di maggior interesse, la prima base di Pronto intervento umanitario della storia, tanto da essere ritenuta, proprio delle Nazioni unite, un “modello”. La fonte di ispirazione per la realizzazione delle gemelle che sono altre cinque e sono sparse negli altri continenti. Solo due in Europa: c’è Las Palmas, in Spagna e poi Accra in Ghana, Dubai negli Emirati Arabi, Panama City e Kuala Lumpur in Malesia.

La scelta di Brindisi

Brindisi è stata scelta per la sua posizione e per la sua rilevanza logistica. Ha unporto, un aeroporto civile e uno militare, il “Pierozzi” dove si trovano i magazziniin cui sono conservati i materiali umanitari e le attrezzature. Una missione si organizza anche in 24 ore. Ce ne sono volute appena 48 per far partire un aereo di aiuti diretto a Beirut, poco dopo l’esplosione del 4 agosto scorso. Sono stati tantissimi gli interventi in vent’anni di attività: Iran, Mozambico, Siria, Indonesia, Nigeria per citarne solo alcune. La base è stata creata nel 2000 e nell’anno in corso raggiunge i suoi 20 anni di attività. Ma causa Covid non ci sono state celebrazioni e festeggiamenti ufficiali. Il principale finanziatore della base è la Cooperazione italiana allo Sviluppo.

La nascita del progetto negli anni 80

Tutto nasce a metà degli anni 80. È il governo a pensare di consentire all’Onu e alle organizzazioni umanitarie di avere una sede per collocare in pianta stabile beni diprimo soccorso da spedire in quei luoghi, del pianeta, in cui ci sono calamità, incidenti, guerre, emergenze sanitarie. Viene scelto inizialmente l’aeroporto militare di Pisa. Alla fine degli anni 90 il deposito viene trasferito a Brindisi. La scelta viene effettuata per ragioni logistiche e geografiche.

E’ porta d’Oriente ed è posta nel bel mezzo di Europa e Africa. Una posizione chiave. La prima operazione è datata 20 giugno 2000. Un Iliyushin 76 fu caricato con 36 tonnellate di aiuti e un ospedale mobile diretto ad Asmara. La popolazione eritrea era stata colpita dalla guerra di confine con l’Etiopia.

Da allora la base non si è mai più fermata. Non parte cibo, ma coperte, tende, set da cucina, zanzariere. Nelle celle frigorifere ci sono i medicinali e i kit sanitari d’emergenza. Dopo Brindisi, nascono le altre cinque al mondo. Per fare due conti, da gennaio a settembre 2020 le sei basi hanno supportato 36 organizzazioni partner spedendo 17.900 tonnellate di aiuti e attrezzature logistiche in 126 Paesi per la risposta al Covid-19 ed altre emergenze umanitarie. E molto, probabilmente, dovranno continuare a farlo.

La soddisfazione italiana

Lo scopo è sempre stato e resta quello di assistere le popolazioni colpite da disastri naturali o emergenze complesse, aumentando la capacità di risposta della comunità umanitaria internazionale. Gli stock di materiale umanitario e attrezzature logistiche possono essere di proprietà di agenzie delle Nazioni Unite, di governi, di organizzazioni non governative o internazionali che abbiano un accordo di cooperazione con il Wfp. Le visite istituzionali sono continue.

L’apprezzamento per il lavoro svolto viene rinnovato puntualmente. Lo ha specificato anche la vice ministra degli Esteri, Emanuela Del Re, nel congratularsi con David Beasley, capo del Wfp: “C’è un po’ d’Italia – ha detto – in questo premio Nobel al Wfp. La collaborazione e cooperazione tra Italia e World Food Programme è eccellente, strategica e di lunga data. Ospitiamo con orgoglio la sede del Wfp a Roma e l’Humanitarian Response Depot (Unhrd) a Brindisi e siamo impegnati a migliorare la partnership in futuro”.

Per i suoi sforzi nel contrastare la fame e per essere determinante negli sforzi di prevenzione delle guerre che sfruttano la fame come arma. Tra i diciottomila dipendenti del WFP vi sono, da 15 anni, Rossella Bottone ed il marito, Miguel Rodrigez Fernandez in servizio a Panama, dopo il giro di quasi tutto il mondo! Una ‘nticchia, anzi due del Premio Nobel va anche a loro!
 

 

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